Una diagnosi sempre più frequente: cos’è il Disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD)

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L’ADHD, secondo il DSM 5, rappresenta la qualificazione diagnostica per riferirsi a quella categoria di persone che manifestano un complesso di difficoltà collegate alla disattenzione/iperattività ed all’impulsività.

I sintomi clinici da osservare sono legati a:

  1. La disattenzione: si riscontra in soggetti che, rispetto alle prestazioni attese, presentano difficoltà a mantenere un certo grado di attenzione o a lavorare su un medesimo compito per un periodo adeguatamente prolungato, in relazione all’età;
  2. L’iperattività si riscontra attraverso il rilevamento di eccessivi livelli di attività motoria e verbale, sempre in relazione all’età del soggetto. In particolare, nel bambino ADHD è possibile evidenziare un’agitazione continua, difficoltà a rimanere seduto e/o a restare fermo al proprio posto;
  3. L’impulsività si manifesta attraverso l’incapacità di un soggetto di posticipare la soddisfazione di un desiderio, senza considerare le conseguenze derivanti dalle azioni.

Le cause dell’ADHD, ancora oggi, rimangono sconosciute.

Il settore di ricerca che ha ottenuto risultati più significativi, è quello della genetica. In particolare, correlazioni significative, come ad esempio con il gene DAT1, DRD4 e DRD2, hanno confermato il ruolo cruciale svolto dalla dopamina. Altri studi neurobiologici hanno evidenziato anomalie strutturali e funzionali a carico dell’encefalo: la corteccia prefrontale, i gangli della base, il cervelletto ed il corpo calloso. Queste aree/regioni sono la base neurale delle funzioni neuropsicologiche, che risultano deficitarie nei soggetti con ADHD (Vio & Lo Presti, 2022).

Quale trattamento?

Per quanto riguarda la gestione dei sintomi dell’ADHD, le organizzazioni mediche raccomandano tutte l’uso di farmaci psicostimolanti ma raccomandano anche di iniziare il prima possibile con la psicoeducazione e la gestione comportamentale, in particolare per le persone con sintomi lievi e disabilità (Baytunca et al., 2018).

Le linee guida statunitensi, invece, differiscono e suggeriscono che, per i bambini di età inferiore ai 6 anni, il trattamento debba iniziare con la gestione del comportamento attraverso un parent training e che i farmaci dovrebbero essere riservati ai casi più gravi o che non rispondono ai trattamenti.

Gli approcci non farmacologici sono stati adattati da altre aree cliniche o sviluppati di recente ad integrazione dei trattamenti e sono raccomandati come parte dell’approccio multimodale (Polanczyk et al., 2007): per i bambini di età compresa tra 3 e 5 anni non sono infatti raccomandati i farmaci ed è necessario quindi preferire una procedura adattativa sistematica che combini diversi moduli terapeutici in base alle esigenze e alla situazione del paziente e della famiglia.

Ciò può, ad esempio, includere una prima fase in cui viene avviata la consulenza ai genitori, una seconda fase che comprende, ad esempio, la terapia psicologica individuale per il bambino, mentre i genitori partecipano parallelamente a un programma di formazione, seguita da una terza fase in cui, tutt’al più, viene avviato l’utilizzo del farmaco stimolante (Geissler et al., 2018).

Gli interventi incentrati sull’ambiente mirano alla consulenza o alla formazione dei genitori o all’istruzione degli insegnanti a scuola o all’asilo: tali programmi possono essere proposti individualmente o in gruppo e hanno mostrato effetti positivi sulle capacità genitoriali, sui sintomi dell’ADHD e sui problemi di condotta in comorbilità (Daley et al., 2018).

La terapia familiare per l’ADHD si concentra sull’individuare i modelli di interazione familiare disfunzionali (Robin, 2014) e sull’allenare genitori e figli ad utilizzarne di alternativi.

Gli interventi scolastici possono invece aiutare gli insegnanti a migliorare le condizioni in classe (ad esempio riducendo al minimo le distrazioni), incrementare la loro formazione in merito (ad esempio, suggerendo modalità didattiche più adeguate o promuovendo il peer tutoring) o sostenerli nel migliorare capacità di autogestione e abilità sociali dello studente, così da contribuire inoltre a far fronte allo stigma.

Studi di follow-up hanno riportato risultati divergenti, con alcuni che riportano alti tassi di persistenza fino all’età adulta (fino al 79%) (Cheung et al. 2016) ed altri che mostrano tassi molto più alti di remissione dall’infanzia all’adolescenza (es., 45-55% delle remissioni sindromiche) (Sudre et al., 2018).

Pertanto, sono necessari ulteriori studi per colmare le lacune attuali del mondo scientifico in relazione all’ADHD.

Dott.ssa Rossella Casieri

Dott.ssa Cristina Colantuono

Bibliografia

American Psychiatric Association. (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. DSM-5. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Baytunca, M. B., Inci, S. B., Ipci, M., Kardas, B., Bolat, G. U., & Ercan, E. S. (2018). The neurocognitive nature of children with ADHD comorbid sluggish cognitive tempo: Might SCT be a disorder of vigilance?. Psychiatry research270, 967-973.

Cheung, C. H., Rijsdijk, F., McLoughlin, G., Brandeis, D., Banaschewski, T., Asherson, P., & Kuntsi, J. (2016). Cognitive and neurophysiological markers of ADHD persistence and remission. The British Journal of Psychiatry208(6), 548-555.

Daley, D., Van der Oord, S., Ferrin, M., Cortese, S., Danckaerts, M., Doepfner, M., … & Sonuga‐Barke, E. J. (2018). Practitioner review: current best practice in the use of parent training and other behavioural interventions in the treatment of children and adolescents with attention deficit hyperactivity disorder. Journal of Child Psychology and Psychiatry59(9), 932-947.

Geissler, J., Jans, T., Banaschewski, T., Becker, K., Renner, T., Brandeis, D., … & Romanos, M. (2018). Individualised short-term therapy for adolescents impaired by attention-deficit/hyperactivity disorder despite previous routine care treatment (ESCAadol)—Study protocol of a randomised controlled trial within the consortium ESCAlife. Trials19, 1-16.

Karalunas, S. L., Gustafsson, H. C., Fair, D., Musser, E. D., & Nigg, J. T. (2019). Do we need an irritable subtype of ADHD? Replication and extension of a promising temperament profile approach to ADHD subtyping. Psychological assessment31(2), 236.

Polanczyk, G., De Lima, M. S., Horta, B. L., Biederman, J., & Rohde, L. A. (2007). The worldwide prevalence of ADHD: a systematic review and metaregression analysis. American journal of psychiatry164(6), 942-948.

Robin, A. L. (2014). Family therapy for adolescents with ADHD. Child and Adolescent Psychiatric Clinics23(4), 747-756.

Sudre, G., Mangalmurti, A., & Shaw, P. (2018). Growing out of attention deficit hyperactivity disorder: Insights from the ‘remitted’brain. Neuroscience & Biobehavioral Reviews94, 198-209.

Vio, C., & Presti, G. L. (2022). Diagnosi dei disturbi evolutivi: Modelli, criteri diagnostici e casi clinici. Edizioni Erickson.

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