Ci sono una serie di eventi a cui l’essere umano cerca continuamente di far fronte, una relazione finita, l’essere licenziati dal lavoro, la morte di una persona cara.
Tutti questi aspetti, alla fine, grazie all’incedere del tempo e ad un giusto percorso terapeutico possono essere portati ad un miglioramento psicologico dell’individuo, seppur esista un evento, una scoperta che può comportare non un miglioramento, attraverso il passare del tempo, ma un peggioramento, ovvero la scoperta di una neoplasia.
La scoperta di una malattia del genere porta a un cambiamento degli asset psicologici dell’individuo, in cui cambia la propria concezione di vita da quel momento in poi.
Nell’ambito psicologico, si è sviluppata una corrente di studi sul tema negli anni Cinquanta, quando con la richiesta dei primi pazienti oncologici la categoria ha iniziato a portare avanti ricerche ed approfondimenti su come supportare al meglio i pazienti nell’affrontare eventi del genere.
Nel 1884 venne fondato il Memorial Sloan Kettering Center di New York, il primo servizio di aiuto e sostegno dei pazienti affetti da neoplasie. In Europa i primi sviluppi verso un modello d’aiuto iniziano a essere presenti durante gli anni 70.
La psiconcologia nasce attraverso l’incontro delle discipline psicologiche con quelle oncologiche, studiando l’impatto psicologico e sociale che possono avere il paziente e la famiglia del suddetto, analizzando il ruolo che può avere una diagnosi oncologica.
Gli studi si focalizzano principalmente sulle variabili psicologiche e sociali che comportano l’esposizione del paziente verso i fattori di rischio che incidono sul peggioramento della malattia, le variabili che interferiscono nella prevenzione dei tumori e le tecniche comunicative che portano ad un’efficacia maggiore dei mezzi d’informazione e prevenzione.
Un altro aspetto analizzato, riguarda l’osservazione delle varie fasi della malattia, che possono suddividersi in:
- fase prediagnosi;
- prima diagnosi;
- fase di trattamento e iter terapeutico;
- fine dell’iter terapeutico.
Possono aggiungersi anche ulteriori due fasi: recidiva della malattia e stadio terminale.
Il trattamento psicoterapeutico in ambito Oncologico
In questi casi lo psicologo esperto nel trattamento del paziente oncologico tratta inizialmente la sfera emotiva del paziente, in particolare con l’analisi del concetto di cambiamento e di paura che il paziente prova rispetto alla nuova situazione in cui si ritrova.
La paura è un’emozione che il paziente prova in una duplice veste: quella più individuale ed esistenziale legata alla possibilità che la sua vita finisca prematuramente e quella familiare e ambientale, con tutte le conseguenze che il decorso della malattia e l’epilogo peggiore causa in tutte le figure che ruotano attorno a lui. Con il sostegno emotivo dei pazienti, si lavora in particolare su determinate paure legate allo status fisico, il quale inevitabilmente cambierà, o al timore del cambiamento fisico.
Altre sfere che verranno analizzate sono quella sessuale, possono registrarsi infatti difficoltà a causa degli effetti della cura antitumorale in seno ad anorgasmia, dispareunia e basso desiderio sessuale e la sfera relazionale, in cui si può verificare un progressivo isolamento dell’individuo.
Lo psiconcologo si muove poi verso alcuni punti salienti:
- fare in modo che il paziente parli della propria condizione per poter prendere atto del suo decorso clinico;
- capire in che grado il paziente risulti consapevole della sua nuova condizione;
- definire e ridefinire gli obiettivi, che passano dalla guarigione al sostegno e all’imparare ad affrontare la situazione;
- diversificare l’intervento in base alla fase della malattia. E’ importante non cristallizzarsi ma essere pronti a lavorare, momento per momento, volta per volta su problemi nuovi riportati dalla malattia.
Il percorso si incentra sulla resilienza, sulle capacità che il paziente ha di far fronte alle nuove problematiche che la vita gli porrà davanti: sul sostegno a individuare e utilizzare gli strumenti in suo possesso per rispondere, nel miglior modo possibile, alle difficoltà che si presenteranno anche al cospetto di uno stadio terminale della malattia, momento in cui il sostegno non sarà più solamente sulla possibilità di affrontare la malattia ma anche sull’accettare la fine della propria esistenza, facendo in modo che non rimanga nulla di incompiuto nelle scelte del paziente e nelle sue volontà.
Fondamentale alimentare la consapevolezza che uno psicologo rappresenta una valida alternativa al sentirsi soli ad affrontare il dramma, al portare tutto il peso sulle proprie spalle. Condividere pensieri ed emozioni con qualcuno che può reggerle e che può offrire un ascolto attivo e spassionato dona sempre sollievo e speranza.
Dr. Edoardo Scuto
Dr. Cristina Colantuono
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