Colpevoli si nasce? Il contributo delle neuroscienze alla criminologia

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L’intreccio tra neuroscienze cognitive e criminologia ha aperto nuovi orizzonti nella comprensione del comportamento umano, specialmente nei contesti criminali.

L’analisi dei processi mentali, delle emozioni e delle strutture cerebrali offre chiavi di lettura inedite per comprendere le cause alla base dei comportamenti devianti.

Neurobiologia del Comportamento Criminale

Nel lontano 1871, Cesare Lombroso, medico psichiatra ritenuto il fondatore della criminologia, condusse il primo studio sui comportamenti criminali all’interno di un penitenziario. Egli avanzò l’ipotesi che la violenza avesse una causa cerebrale.

Oggi, Adrian Raine, criminologo inglese e docente all’Università della Pennsylvania, nel suo saggio “L’Anatomia della violenza” sostiene che la propensione al rischio e alla violenza non sia solamente il risultato di fattori sociali ma piuttosto sia influenzata da componenti biologiche e genetiche.

La ricerca nell’ambito dell’epigenetica ha dimostrato come l’ambiente possa influenzare l’attività dei geni in parti specifiche del cervello di un individuo. Questo risultato mette in discussione il determinismo biologico, sottolineando l’interazione complessa tra genetica ed esperienze ambientali nell’indirizzare il comportamento antisociale.

L’ambiente, infatti, svolge un ruolo significativo. Alcune varianti genetiche aumentano il rischio di comportamento antisociale solo quando si verificano specifici fattori di rischio ambientali, come abusi nell’infanzia e un ambiente genitoriale negativo.

L’analisi dell’attività cerebrale ha rivelato una ridotta funzionalità nel lobo frontale e nell’amigdala, associata a comportamenti antisociali e violenti. Studi neurologici hanno evidenziato una possibile connessione causale tra anomalie nella struttura del lobo frontale e comportamenti criminali o violenti. Questi studi hanno infatti dimostrato che traumi cranici in individui apparentemente sani possono scatenare comportamenti antisociali disinibiti.

Sono state inoltre utilizzate tecniche di neuroimaging per identificare le componenti neurobiologiche dei comportamenti decisionali e comportamentali automatici e involontari, caratteristici degli atteggiamenti violenti.

Queste ricerche hanno individuato specifiche aree del cervello coinvolte, tra cui:

  • Lobo frontale: questa regione è associata alla coscienziosità e alla pianificazione delle azioni, nonché al controllo degli impulsi. In particolare, l’area orbitofrontale influisce sul comportamento sociale. Lesioni in questa zona durante l’infanzia e l’adolescenza possono impedire lo sviluppo di atteggiamenti prosociali.
  • Amigdala: questa parte del cervello è coinvolta nella regolazione emotiva. Problemi possono sorgere quando la sua attività è ridotta, causando una disregolazione delle emozioni.
  • Neuroni specchio: questi neuroni sono legati all’empatia e consentono di comprendere sia i fattori razionali che emotivi. Studi condotti su criminali seriali hanno rivelato un malfunzionamento dei neuroni specchio, portando a una mancanza di empatia nei confronti delle vittime.

Neurocriminologia e sistema giudiziario

Con queste nuove scoperte sorgono domande etiche significative.

Come utilizzare queste informazioni nel sistema giudiziario?

Qual è la linea di demarcazione tra responsabilità individuale e influenze neurobiologiche?

La neurocriminologia ha punti di incontro con il sistema giudiziario su tre livelli: prevenzione della criminalità, previsione della recidiva e punizione del reo.

Il fatto che circa il 50% delle variazioni nel comportamento aggressivo e antisociale possa essere spiegato da influenze genetiche potrebbe essere un motivo convincente per l’uso delle informazioni biologiche, allo scopo di migliorare la previsione e la prevenzione della violenza.

La ricerca nella prevenzione è abbastanza carente al momento ma a livello psicofarmacologico un’ampia gamma di farmaci, inclusi antipsicotici, stabilizzatori dell’umore, stimolanti e antidepressivi risulta essere efficace nel ridurre il comportamento aggressivo nei bambini e negli adolescenti, nonostante vi siano pochi studi sulla loro efficacia a lungo termine o sull’applicazione agli autori di reato.

L’influenza futura sulle previsioni riguardo alla possibilità di recidiva o all’inclinazione verso i reati è senza dubbio un campo minato date le gravi conseguenze sulla libertà personale in seguito ad errori di valutazione.

Il sistema di pena si basa sulla reale responsabilità individuale riconosciuta e provata e le analisi neurobiologiche potrebbero aiutare a comprendere se gli autori di un reato siano effettivamente responsabili del loro comportamento e, in tal caso, in che misura ma la strada da percorrere sembra essere ancora lunga.

Attualmente, in Italia, l’imputabilità e la punibilità dipendono dalla capacità del reo di intendere e volere. In futuro, potrebbe esserci uno sviluppo riguardante l’analisi dei fattori di rischio neurobiologici, i quali, combinati con elementi ambientali e sociali, potrebbero portare a una riduzione della responsabilità penale.

Conclusioni

È importante sottolineare che non esiste in alcun caso un legame diretto di causa-effetto tra fattori neurobiologici e condotta; piuttosto, si osserva l’incidenza dei primi sulla possibile predisposizione a comportamenti antisociali.

Al netto dei rischi, questi studi potrebbero comunque rivelarsi cruciali sulla prevenzione o sulla riabilitazione di questi individui anche se tante sono le questioni ancora aperte.

Attualmente, medici, giudici e neuroscienziati si trovano ad affrontare una domanda cruciale: è il paziente responsabile? Dovrebbe essere punito allo stesso modo di un individuo senza alcuna lesione cerebrale? Dove si traccia la linea tra un comportamento criminale patologico e uno derivante da una lesione cerebrale?

Tuttavia, questi sono interrogativi per i quali non esiste ancora una risposta definitiva.

Per saperne di più sull’argomento, proponiamo un approfondimento con il Master in Criminologia e Psicologia Giuridica, un percorso che da anni rappresenta per tanti psicologi un ottimo modo per creare rete e introdursi in questo settore.

Dr.ssa Paola Vitale

Dr.ssa Cristina Colantuono

 

Bibliografia

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