25 Novembre: una riflessione sulla Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne

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Solo un piccolo uomo usa violenza su una donna per sentirsi grande! Purtroppo anche oggi nel ventunesimo secolo ci sono molti piccoli uomini, psicologicamente fragili ed emotivamente instabili.

Le statistiche parlano di casi sempre più crescenti di donne vittime di violenza, molti dei quali sfociano in femminicidio e le cronache degli ultimi giorni ne sono una testimonianza diretta, sembrerebbe assurdo, irreale, spesso è così lontano dal nostro modo di vivere che non ci si rende conto di quello che succede magari nella porta accanto. Dove si consumano abusi, fisici e psicologici nei confronti delle donne, picchiate, umiliate, derise, abusate fisicamente e psicologicamente, annientate.

Situazione di degrado in cui spesso i figli sono attenti spettatori con traumi che si porteranno dietro nel corso della loro esistenza e che inevitabilmente li segnerà nel processo del loro sviluppo psichico.

Da quel 17 Dicembre 1999, data in cui l’assemblea generale delle Nazioni Unite istituì la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, molti passi avanti sono stati fatti in termini di diritti e si sensibilizzazione. La morte di una donna, per mano del suo uomo è un crimine contro l’umanità, perché quella donna era prima di tutto un essere umano, che aveva aperto il cuore, la sua anima e si era fidata di quell’uomo, tanto da lasciarsi uccidere.

Il 25 Novembre, giornata contro il femminicidio, si commemorano tutte le donne alle quali è stata negata la vita, strappate ai loro affetti, brutalmente uccise, ma la morte è lo stadio finale, tutto ciò che si mette in campo prima di arrivare a questo gesto estremo distrugge ed annienta ancor di più quella donna e ci riferiamo alla violenza fisica, psicologica, verbale, lo stalking.

Vi è una forma di violenza subdola ed invisibile, la violenza psicologica, viene messa in atto attraverso l’umiliazione, la critica, commenti negativi volti a sminuire la donna, facendola sentire insignificante; il controllo degli spostamenti, dei social network, del telefono, della libertà personale ed economica; la svalutazione continua;  le offese; la mancanza di rispetto, le accuse attribuendo alla vittima la colpa dei propri attacchi di rabbia, dei litigi e del comportamento che il partner mette in campo, destabilizzando la vittima attraverso la negazione dei fatti accaduti, sfinendola fino a portarla a credere di essere pazza; la gelosia patologica, i ricatti; l’isolamento.

Ogni volta che il partner mette in atto uno o più di questi comportamenti annienta la sua compagna facendole perdere completamente l’autostima e la sua autonomia di essere umano. La vittima si sente impotente,  in colpa, convinta di sbagliare costantemente, innescando così un meccanismo mentale in cui è la “sbagliata”, fuori luogo ed inadeguata,  ciò la porta a provare vergogna ed è proprio questo il motivo per cui non riesce a parlarne con nessuno e chiedere aiuto. Si entra in un meccanismo perverso in cui la vittima è sempre sotto pressione, tutti i suoi sforzi per evitare i litigi, provocano reazioni avverse, destabilizzando sempre più il suo sistema emotivo. Nonostante la sofferenza non riesce a trovare il coraggio per mettere la parola fine, la manipolazione mentale subita nel tempo la convince che la persona al suo fianco è perfetta.

Ci si ritrova difronte alla “sindrome da crocerossina” e cioè tutti quei comportamenti e lucubrazioni mentali volti a la propria “storia d’amore” convinti che con amore e dedizione,  annientando la propria persona in favore dell’altro la situazione possa cambiare e il partner tornare quello di un tempo. Ma in realtà il partner è  una persona anaffettiva, fragile, poco empatica, attratto da persone estremamente sensibili, un manipolatore che finge di provare sentimenti, alla ricerca costante della conferma del suo se grandioso, che corteggia in modo estenuante la vittima, facendola sentire unica, finchè non cadono i naturali meccanismi di difesa e la donna si innamora perdutamente.

Si crea una sorta di co-dipendenza da un lato la vittima con una forte dipendenza affettiva, dall’altro il manipolatore che ha bisogno della vittima per sentirsi importante. Un’altra violenza, anch’essa perpetrata tra le mura domestiche è quella familiare, si manifesta quando a perpetrare violenza è un genitore nei confronti dei figli, limitandone la propria autonomia, capacità di discernimento, imponendo dettami provenienti da un retaggio culturale patriarcale, in cui il genitore detiene il potere sulle sorti del proprio figlio, l’anaffettività o l’eccesso di cure, lo sminuire ed offendere costantemente fino a portare il figlio a credere di non essere all’altezza delle situazioni che si presentano nella vita.

Si può classificare, sotto forma di violenza psicologica, certamente più aggressiva, lo stalking. Si tratta di vere e proprie molestie assillanti, pedinamenti, lettere anonime, appostamenti, telefonate continue, messaggi, minacce.

La finalità è il possesso della vittima limitandone la libertà personale e il sentimento di vendetta per un torto che crede di aver subito. In prima battuta questo comportamento viene visto come una forma per recuperare il rapporto che difronte ai continui rifiuti del ormai ex partner si trasforma in una forma più aggressiva: atti vandalici, deposizione di fiori o oggetti davanti casa o sul luogo di lavoro, danneggiamenti dell’auto vettura. Tutto ciò innesca nella vittima dei cambiamenti comportamentali dovuti alla paura, come il ritiro sociale. Lo stalker è una persona che non riesce ad accettare la fine della relazione, con un evidente problematica dell’area emotiva, manifesta un attaccamento affettivo amoroso e non riesce ad accettarne la perdita, anche qui dominante è il desiderio di possesso.

Con l’approvazione della legge sullo stalking, che prevede un reato penale punibile dai 6 mesi ai 5 anni molti sono stati i casi di denuncia, anche se non abbastanza rispetto ai dati reali, in alcuni casi i segnali vengono confusi, sminuiti, minimizzati, in altri la vittima viene fatta desistere dal denunciare forse per paura di una maggiore ritorsione o del contesto sociale in cui vive, la paura del giudizio. Molti sono i casi in cui dallo stalking si è passato al tentato omicidio, allo sfregio del corpo attraverso l’acido, la cronaca italiana è stata inondata di casi del genere, in cui lo stalker non riuscendo a possedere la vittima decide di deturparla violentemente e vigliaccamente, non si parla di raptus mentale ma di premeditazione. In altri casi, molti, il tentato omicidio si è trasformato in femminicidio. Oggi, sarebbe necessario interrogarsi e porre la giusta attenzione su quanto sia importante prendersi cura della salute mentale.

Quale prevenzione?

Prevenzione da mettere in campo per chi subisce atti violenti e, quindi aiutarli in quel percorso volto a ritrovare se stessi, la propria identità, autonomia, elaborare tutte quelle situazioni conflittuali vissute, per trovare una nuova consapevolezza del proprio io ed essere psicologicamente più forti, aiutare le vittime a reinventarsi, renderle autonome psicologicamente ed economicamente, due aspetti fondamentali di dipendenza che spingono le vittime a subire la violenza del partner.

Altrettanto importante è agire in maniera preventiva sugli autori di atti violenti ed i fatti purtroppo ancora oggi lo dimostrano che da sole le misure restrittive non bastano, bisogna adottare contestualmente alle restrizioni dei percorsi volti al recupero del soggetto in questione, lavorare sulla sua salute psicologica, affinchè i meccanismi interni, i vissuti, le emozioni, che inducono il soggetto a perpetrare un comportamento psicologicamente e socialmente inadeguato, vengano elaborati e superati, un supporto psicologico per il recupero della persona nella sua identità e dignità, restituire un cittadino alla comunità in grado di badare a se stesso e agli altri.

Dott.ssa Carmela Maiolo

Dott.ssa Cristina Colantuono

Discussion2 commenti

  1. Giovanna Mangone

    Spesso si parla di violenze subite nei confronti delle donne: stalking, atti persecutori, minacce ecc…un circolo vizioso che incalza e fregia tutto il paese. C’è una frase molto celebre dello spagnolo Goya che ha suscitato in passato molte riflessioni. L’uomo sganciato dalla ragione, perde l’essenza della natura umana, la parte ragionevole e, rimane prigioniero del suo lato oscuro, che può essere l’invidia, la rabbia, la gelosia. Sappiamo tutti che ciò che distingue l’uomo dalla bestia e che l’uomo usa la ragione, mentre, gli animali l’istinto. Quando l’uomo perde l’uso della ragione, fa uso dell’istinto primordiale e selvaggio che conduce l’uomo a fare cose orribili, come uccidere o fare del male alle persone più care. Goya, invita l’uomo ad una riflessione, sulla realtà dei nostri tempi dilaniati non solo da guerre inutili e corruzioni, ma anche da violenze verso il prossimo e verso se stessi. E’ prioritario, agire contro la violenza andando alla radice, impegnandosi sul piano educativo già in tenera età, insegnando ai bambini la parità di genere il rispetto per le donne e la loro libertà. Ma cosa fondamentale è l’umiltà. Educare all’umiltà credo sia il semplice segreto per capire i nostri limiti, per conviverci e imparare a sopportare un rifiuto, un offesa, una cattiveria, senza reagire con presunzione; presunzione che molto spesso è all’origine della violenza.

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