Minori autori di reato: la famiglia come fattore di rischio o di protezione?

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La cronaca ci parla con non poca frequenza di minori che compiono reati. L’indignazione è tanta nell’apprendere notizie di adolescenti che bruciano un senzatetto o di un figlio che durante uno scatto d’ira uccide il padre a coltellate… Purtroppo questi non sono fatti isolati.

Alcuni dati

Il Dipartimento di Giustizia minorile ha reso pubblici i dati ottenuti dall’analisi dei flussi di utenza dei Servizi della Giustizia Minorile: solo nel 2017 i minori presi in carico per la prima volta dagli Uffici di servizio sociale sono 7.142, di cui il 53% tra i 16 ed i 17 anni. I tipi di reato a loro carico riguardano (Zanghi, et al. 2018):

  • delitti contro il patrimonio (furti e rapine)
  • delitti contro la persona (lesioni, violenze e minacce)
  • spaccio di stupefacenti
  • violazioni in materia di armi
  • violazione del codice della strada

A livello psicologico e relazionale nella sfera di vita di questi ragazzi ci sono alcune caratteristiche comuni che possono essere indicate come fattori predittivi: maltrattamenti o più in generale traumi in età infantile influenzano azioni criminali nei minorenni (Baglivio, et al. 2015; Fox, et al. 2015) come anche una diagnosi di disturbi dirompenti, del controllo degli impulsi e della condotta (Biondi, 2013), senza dimenticare l’influenza profonda che il contesto familiare e sociale ha sul comportamento minorile (Benedetto, 2017).

E le caratteristiche fondamentali che accomunano i minori autori di reato sono: il non rispetto delle regole; l’indifferenza riguardo le conseguenze; la mancanza di senso di colpa. Sintomi che derivano dalla difficoltà della regolazione comportamentale, dal deficit nell’empatia e nella valutazione emotiva delle proprie azioni.

Il ruolo della famiglia

Il DSM-5 elenca tra i rischi che avvicinano i minori al sistema giustizia: i fattori genetici, il temperamento difficile e scarsamente controllato e le condizioni familiari sfavorevoli.

Sebbene i fattori contestuali non siano l’unica variabile necessaria per il compimento di reati, risulta rilevante analizzare “come” il minore cresce nel suo ambiente, soprattutto se la famiglia di appartenenza è altamente conflittuale.

Non esiste una laura in “genitorialità” e spesso ci si trova soli e impreparati nella gestione di figli incontenibili, Benedetto (2017) scrive in proposito “con un bambino dal temperamento difficile lo stress dei genitori è notevole, al punto di amplificare i compiti di accudimento” (pag. 59) e questa amplificazione dei metodi disciplinari porta inevitabilmente dei risultati tutt’altro che positivi:

  1. COMPORTAMENTO VERBALE ALTERATO: tono della voce da cui traspare rabbia, scambi ostili e paradossali;
  2. PUNIZIONI ECCESSIVE: l’irritazione porta al ricorso di punizioni per comportamenti che potrebbero essere ignorati, la punizione inoltre non è erroneamente intesa come la perdita di privilegi ma come l’imposizione di umiliazioni fisiche o morali;
  3. RINFORZO: prestare attenzione a comportamenti negativi, piuttosto che a quelli positivi, descrivere il proprio figlio negativamente (es. “è pestifero”, “è insopportabile”) o avere aspettative poco realistiche rispetto all’età ed alle sue capacità;
  4. PERMISSIVITÀ E INCOERENZA: non dare limiti o regole al figlio, fino a che il comportamento dello stesso arriva al limite, promettere punizioni che poi non vengono applicate, punire un comportamento che precedentemente era stato ignorato o viceversa.

Consigli per i genitori

Se ci si riconosce in alcuni dei comportamenti educativi ora descritti, sarà chiaro che i figli strutturano i loro comportamenti in base all’educazione che viene loro impartita ma soprattutto per imitazione.

Più semplicemente: con l’esempio di genitori incapaci di autocontrollo si impara che l’aggressività, sia verbale che fisica, è l’unico modo per risolvere i problemi ed ottenere qualcosa.

Non bisogna però disperare perché questo stile relazionale non è definitivo e questo processo coercitivo può essere interrotto.

Parliamo della tecnica del “parent training“: è un percorso che ha l’obiettivo di aiutare i genitori a:

  • identificare i comportamenti positivi e problematici
  • rinforzare gli aspetti positivi
  • gestire gli aspetti negativi
  • controllare l’agito del figlio ed eventualmente una negoziazione.

Questa tecnica porta a risultati positivi sia rispetto all’educazione dei figli che alla coesione familiare e lo psicologo rappresenta quindi la soluzione di un problema finora considerato insormontabile.

Dr. Cristina Colantuono, Dr. Laura Gabellone


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Baglivio, M. T., Wolff, K. T., Piquero, A. R., Epps, N. (2015). The relatioship between Adverse Childhood Experiences (ACE) and juvenile offending trajectories in a juvenile offender sample in “Journal of Criminal Justice”, 43 (3), 229-241.

Benedetto, L. (2017). Il parent training. Nuova edizione. Roma: Carocci editore.

Biondi, M. (2013). Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (5th ed.). Milano: Raffaello Cortina Editore.

Fox, B. H., Perez, N., Cass, E., Baglivio, M. T., Epps, N. (2015). Trauma changes everything: examining the relationship between adverse childhood experiences and serious, violent and chronic juvenile offenders in “Child Abuse & Neglect”, 46, 163-173.

Zanghi, C., Totaro, M. S., Bucciante, E., Condrò, V., Nolfo, M., Pergolini, I. (2018). Analisi dei flussi di utenza dei minori dei Servizi della Giustizia Minorile. Anno 2017. Roma: Dipartimento Giustizia minorile e di comunità.

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