Essere mangiati dal tempo: la cronofagia

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Ti è mai capitato di sentirti totalmente sopraffatto dagli impegni, di non avere mai abbastanza tempo per portare a termine tutto?

Questo vissuto prende il nome di “cronofagia”: dal greco “chronos”, che significa “tempo”, e “phagein”, che significa “mangiare”. È la sensazione di sentirsi mangiati dal tempo e trova le sue origini nell’impostazione capitalistica della società odierna, dove il lavoratore deve produrre e il lavoro è il principale mezzo di autoaffermazione.

Realizzarsi nel mondo del lavoro diventa sinonimo del realizzare sé stessi e quindi diviene fondamentale essere produttivi per dimostrare di avere valore. Non esserlo potrebbe ripercuotersi sul giudizio che si ha di sé e su quello degli altri e trasformarsi in senso di colpa.

Questa perenne lotta contro il tempo però non fa altro che sovraccaricare l’individuo di impegni e attività da svolgere, incidendo negativamente sulla qualità di vita.

Quali sono le conseguenze?

Nelle società moderne i disturbi più comuni sono legati ad abitudini di vita.

Di fatto, una realtà all’interno della quale ogni spazio deve essere impiegato in modo produttivo può portare a condurre uno stile di vita poco sano, ad una pianificazione rigida del tempo, anche del tempo libero, e alla conseguente perdita di connessione con i propri bisogni e con il piacere di vivere nel presente.

L’imperativo è “dover fare” e questo può dar luogo ad un forte senso di urgenza, di sopraffazione, inadeguatezza e stress, può incidere negativamente sulla qualità del sonno e promuovere l’insorgenza di disturbi psicologici e fisici ad essa legati come: ansia, depressione, malattie cardiovascolari, ictus, cancro, stipsi, diabete e ipertensione.

Che ruolo ha la tecnologia?

Se da una parte le tecnologie, come i social network e lo smart working, hanno consentito di avere una maggior autonomia organizzativa, dall’altra la possibilità di svolgere attività lavorative in qualsiasi momento e da remoto può generare un senso di dovere e costrizione a lavorare sempre e ovunque, invadendo la vita privata e diminuendo la percezione di autonomia.

Una conseguenza di questo malessere è riscontrabile nella “revenge bedtime procrastination”, ossia la tendenza a sacrificare le ore di sonno, per navigare sui social network o guardare film e serie tv al fine di “rivendicare” quel tempo di svago che non è possibile vivere durante la giornata.

Questo comportamento, oltre a promuovere l’insonnia, alimenta la competizione ed il senso di inadeguatezza attraverso l’esposizione ai successi degli altri. In questo modo si è al tempo stesso produttori e consumatori, anche nel tempo libero, e a pagarne le conseguenze è il benessere psico-fisico.

Come può intervenire lo psicologo?

La sfida della psicologia è quella di aiutare l’individuo a riappropriarsi del proprio tempo e a riconnettersi con i propri bisogni legittimandosi a “non fare”.

Delle pratiche utili a questo scopo sono quelle basate sulla consapevolezza, sul prestare attenzione alle proprie emozioni e sensazioni nel momento presente attraverso uno sguardo non giudicante, come la mindfulness e lo yoga.

Inoltre, diventa fondamentale discostarsi dall’ottica individualista ed iniziare a parlare di “salute collettiva”, così da incentivare un approccio collaborativo piuttosto che competitivo, anche attraverso la promozione di strategie efficaci di gestione del tempo sia nei singoli individui che nelle organizzazioni.

Dr.ssa Elena Scarchilli

Dr.ssa Cristina Colantuono

Riferimenti

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