Milton Erickson ha inizialmente approfondito i suoi studi sulla psiche attraverso le teorie freudiane ma ha poi sviluppato una teoria sull’ipnosi con un approccio più personale.
E’ interessante notare quanto e dove si possano scorgere le influenze che la psicoanalisi ha avuto sulle teorizzazioni e sul lavoro di Erickson.
L’inconscio per Erickson Milton
Milton Erickson nasce nel 1901 negli Stati Uniti, intraprende gli studi in medicina e in seguito si specializza in psichiatria. Pur formandosi in ambienti intrisi delle teorie freudiane se ne distanziò ben presto riconoscendo comunque ad esso la validità della scoperta dell’inconscio.
Si dedicò agli studi sull’ipnosi apportando contributi tali da renderlo uno dei più autorevoli teorici dell’ipnosi moderna ed applicò l’uso dell’ipnosi in tutte le forme di disfunzione psicologica senza limitarne l’uso ai soli casi dell’isteria.
Le divergenze dalla metodica psicoanalitica freudiana
Erickson pone alla base della propria prassi terapeutica, basata sull’uso di tecniche ipnotiche, alcuni assunti teorici che lo distanziano dalla metodica psicoanalitica classica.
Diversamente Freud abbandonò ben presto l’ipnosi a favore della tecnica delle libere associazioni, tecnica che sviluppò ed utilizzò per far emergere quella realtà interna che considerava depositaria di processi, contenuti rimossi, impulsi che non erano accessibili razionalmente. Contenuti la cui comprensione necessitava di una capacità interpretativa specifica.
Per Freud l’inconscio poteva essere compreso soltanto dopo aver subìto una trasformazione in qualcosa di conscio. Lapsus, sogni, sintomi, malattie sono considerati forze inconsce, oscure su cui va gettata la luce della coscienza. Per la prassi psicoanalitica è fondamentale il lavoro di disvelamento di queste immagini, idee, simboli inconsci.
Tale metodica per Erickson era considerata irrealistica, vista la complessità di tale ricostruzione e soprattutto l’enormità di tempo che richiedeva, considerando le resistenze messe in atto dal paziente. L’inconscio è una realtà complessa, ricca e non può essere compresa dall’io cosciente se non in parte.
Un concetto che per i due autori aveva una natura differente: Erickson ne vedeva una forma amica dalla quale trarre risorse, dalla quale attingere per trovare soluzioni che la mente conscia non è in grado di trovare; Freud ne vedeva il luogo del rimosso, del nascosto, ove tutto ciò che di angosciante ci accade viene immagazzinato al fine di non essere affrontato e di sollevare il soggetto dalla gestione delle emozioni che ne conseguono.
Il lungo lavoro psicoanalitico è nel recupero del rimosso, cioè il portare alla coscienza quanto è inconscio attraverso libere associazioni, transfert, interpretazioni e tutti gli altri strumenti di cura propri della psicoanalisi.
La psicoterapia Ericksoniana
Erickson elaborò una sua prassi terapeutica centrata sulla rivisitazione dell’ipnosi, tanto da essere considerato uno dei più autorevoli psicoterapeuti ed ipnotisti del novecento.
Per questo autore l’interpretazione non è il cardine della sua prassi: insegnava che era importante rivolgersi al paziente utilizzando il “linguaggio dell’inconscio”, una tecnica comunicativa che non disdegnava l’uso della metafora, della poesia, dell’umorismo, dei giochi di parole.
Per Erickson l’inconscio segue logiche proprie che sfuggono alla comprensione dell’io conscio, esso si esprime attraverso immagini, sensazioni, idee, simboli.
Attraverso la prassi terapeutica si impara a decifrare questo linguaggio più profondo, più vero. Da qui derivano tecniche di suggestione, di depotenziamento degli schemi coscienti, per creare un varco verso la mente inconscia al fine di creare nuove associazioni, nuove idee, nuove strutture mentali. L’inconscio è considerato una fonte da cui attingere, in modo creativo, le risorse individuali, proprie del soggetto. Fondamentale per Erickson è entrare in questo mondo e comunicare con la mente inconscia seguendo la logica del suo linguaggio ed era abilissimo nel creare momenti di sorpresa, sospensione, motti umoristici che provocavano un terremoto negli schemi cognitivi dei suoi pazienti. L’uso della metafora ne è un altro esempio: essa è da intendere come una forma di approccio, di comunicazione indiretta e in quanto tale permette di aggirare le resistenze del paziente, di influenzare indirettamente la ricerca di soluzione.
La prassi terapeutica di Erickson si basa su un empirismo, un pragmatismo intriso di creatività del terapeuta che ricerca insieme al paziente una soluzione fortemente individuale. Caratteristica del suo pensiero è che non ci sono, nè possono esserci, metodi strutturati di cura.
Volutamente evita che lo psicoterapeuta cerchi le proprie certezze in sistemi creati da altri.
Il fine terapeutico
Ogni paziente che giunge allo studio dello psicoterapeuta porta un proprio vissuto di disagio. La prassi ericksoniana si concentra sulla comprensione del problema nella sua forma presente, quali sono i sintomi attraverso il quale si manifesta il disagio. Una prassi fortemente pragmatica, focalizzata sul presente.
A differenza della psicoanalisi non prende in esame l’intera vita del paziente: cerca insieme al paziente di comprendere quali sono i tentativi di soluzione che vengono messi in atto. Comprenderne la disfunzionalità. Ricercare la soluzione del problema psicologico, del sintomo risulta essere così il frutto di una nuova rielaborazione dei costrutti mentali, più adattivi al benessere della persona.
Dr. Cristina Colantuono
Dr. Antonia Timpano