Devianza giovanile: Bullismo, Cyberbullismo e Baby gang

0

Quando si parla di nuove generazioni, è ormai sempre più diffuso il concetto di devianza giovanile. Più precisamente, in sociologia, si definisce devianza ogni atto o comportamento di una persona o di un gruppo che viola le norme di una collettività e di conseguenza va incontro a forme di sanzione, condanna o discriminazione; l’aggettivo “giovanile”, invece, è riferito al periodo adolescenziale in cui il ragazzo vive la ricerca della propria identità come un’equilibrista tra la devianza e la normalità, tra il pericolo e le regole. In tale scenario, si diffondono alcune forme di devianza che vedono i più giovani diventare autori di reati contro i coetanei e sviluppare un comportamento reiterato aggressivo e violento: il bullismo, il cyberbullismo e il fenomeno delle babygang.

Il fenomeno del bullismo

Dan Olweus, psicologo norvegese, riconosciuto come un pioniere della ricerca sul bullismo, sostiene che “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni negative, messe in atto da parte di uno o più compagni” (D.Olweus, 1996). Dunque, con il termine bullismo si è soliti far riferimento al fenomeno delle prepotenze perpetrate da bambini e ragazzi nei confronti dei loro coetanei soprattutto in ambito scolastico o negli spazi di socialità. Per essere definito tale, il comportamento deve presentare tre caratteristiche precise:

  • intenzionalità,
  • persistenza nel tempo,
  • asimmetria nella relazione.

L’azione deve essere intenzionale ed eseguita al fine di arrecare un danno alla vittima; deve essere ripetuta nei confronti di un particolare compagno e caratterizzata da uno squilibrio di potere tra chi compie l’azione e chi la subisce. Nella teoria è possibile attuare una distinzione tra bullismo diretto e indiretto. Il primo consiste nel picchiare, prendere a calci e pugni, spingere, dare pizzicotti, appropriarsi degli oggetti degli altri o rovinarli, minacciare, insultare, offendere, prendere in giro, esprimere pensieri razzisti sugli altri o rovinarli; il bullismo indiretto, invece, gioca sul piano psicologico, meno visibile e più difficile da individuare, ma non meno dannoso per la vittima di “turno”. Esempi di bullismo indiretto possono essere l’esclusione dal gruppo dei coetanei, l’isolamento, la diffusione dei pettegolezzi e di calunnie sul conto della vittima, il danneggiamento dei rapporti di amicizia (Dimitri S., Pedroni S., Donghi E. 2018).

Il bullismo è un fenomeno che riguarda sia maschi che femmine, seppure si esprime nelle differenze di genere. Infatti i maschi mettono in atto soprattutto prepotenze di tipo diretto, come aggressioni fisiche e verbali; le femmine, invece, in genere usano modalità indirette di prevaricazione e le rivolgono prevalentemente ad altre femmine, sebbene negli ultimi tempi diversi episodi denotino che il genere femminile sta mutando i comportamenti aggressivi, tipici maschili (Dimitri S., Pedroni S., Donghi E. 2018).

Chi sono i protagonisti del fenomeno?

Di solito è possibile scindere dei ruoli ben precisi: il bullo, colui che prende attivamente l’iniziativa di fare prepotenze, l’aiutante del bullo, che va a rinforzare il comportamento del suddetto, ride o sta semplicemente a guardare, la vittima che subisce sopraffazioni, il difensore della vittima che prende le difese di essa e l’esterno che è colui che non fa nulla e cerca di restare estraneo alla situazione (Salmivalli et al.,1996). E’ bene specificare che il bullismo è un fenomeno che sovente interessa tutto il gruppo-classe e quindi non è riconducibile alla condotta individuale. Inoltre, sono molti i fattori di rischio che possono innescare tali dinamiche come un temperamento difficile, un disagiato contesto familiare, il contagio sociale, stili educativi disfunzionali, inefficiente controllo e soglia di attenzione bassa (Salmivalli et al.,1996).

Cosa si intende per cyberbullismo?

Smith e colleghi (2008) hanno proposto la seguente definizione: ‘’un atto aggressivo, intenzionale, condotto da un gruppo o da un individuo, utilizzando mezzi elettronici di comunicazione, più volte e nel tempo, ai danni di una vittima che non può facilmente difendersi’’. Il cyberbullismo si trova in stretta correlazione con alcune caratteristiche del bullismo tradizionale: intenzionalità della condotta violenta, reiterazione nel tempo, squilibrio di potere tra bullo e vittima che non risente tanto della fisicità della persona in interazione ma piuttosto dell’anonimato e della percezione di invisibilità di cui beneficia il cyberbullo (Vanderbosh e Van Cleemput, 2008). Anche nel cyberbullismo abbiamo una forma diretta, con un’aggressività mirata da parte del cyberbullo sulla vittima, e una indiretta dove le azioni denigratorie hanno lo scopo di screditare la vittima nel suo ambiente sociale, agendo alle sue spalle. Ciò che lo differenzia dal primo, è che nel “mondo cyber” lo squilibrio di potere che viene a crearsi tra vittima e aggressore non risente della fisicità della persona o dell’interazione, piuttosto dell’anonimato e della percezione di invisibilità di cui beneficia il cyberbullo (Vandebosh e Van Cleemput, 2008.) Le modalità di vittimizzazione maggiormente riscontrate, infatti, sono i messaggi di testo e le offese sui ‘’Social Network’’, quando si verifica attraverso internet. (Smith et al.2008).

Il fenomeno delle babygang

Con il fenomeno delle babygang, indichiamo una banda di giovanissimi responsabili di azioni di microcriminalità; così i mass media parlano sempre più di baby gang quando riportano episodi di furti ed aggressioni attuati da gruppetti di adolescenti a danno dei loro coetanei.

Se si analizzano le caratteristiche di questi gruppi giovanili si scopre facilmente che, in realtà, non si tratta di bande. Infatti sono privi delle caratteristiche tipiche di una gang, come ad esempio una struttura gerarchica definita, regole di condotta, una buona coesione tra i membri ed il controllo del territorio: “Quindi, anche se tra i giovani italiani la devianza di gruppo è molto frequente, non si può parlare, però, di vere e proprie gangs, così come sono presenti in altri paesi come negli Stati Uniti. Il bullismo o il riunirsi di adolescenti in baby gang è, pertanto, la risultante di un insieme di azioni che spesso sono persistenti e mirano deliberatamente a fare del male e/o a danneggiare chi ne rimane vittima. Alcune azioni offensive avvengono attraverso l’uso delle parole, per esempio minacciando od ingiuriando; altre possono essere commesse ricorrendo alla forza o al contatto fisico: schiaffi, pugni, calci o spinte. In altri casi le azioni offensive possono essere condotte beffeggiando pesantemente qualcuno, escludendolo intenzionalmente dal proprio gruppo” (Petrone, L., & Troiano, M.). In Italia, come appena specificato, non è ancora largamente diffuso il modello tradizionale delle babygang, ma riscontriamo un fenomeno di condotte violente che coinvolge molte realtà giovanili e che aumenta il rischio dei più giovani di precipitare in uno schema avanzato e complesso come quello sopra descritto.

Conclusioni

A fronte delle definizioni date finora, è sempre bene ricordare che famiglia, scuola e altre agenzie educative devono essere coinvolte nella prevenzione e nel contrasto del fenomeno al fine di anticipare determinate dinamiche e fungere da strumento esemplificativo per le future generazioni. E’ necessario intervenire allo scopo di incrementare, in tutti i ragazzi, l’empatia, ovvero la capacità di mettersi nei panni dell’altro, in questo caso della vittima, per evitare di compromettere una fase di vita e il futuro di personalità più fragili e sensibili. Anche gli stessi bulli, inoltre, per mettere in atto tali condotte, condividono un vissuto di sofferenze e mancanze tali che avrebbero bisogno di un personale e preciso percorso di supporto e aiuto psicologico. Sensibilizzare circa tali fenomeni, dunque, pone l’accento sull’importanza della prevenzione partendo da un contesto coeso di società che si unisce al fine di lasciare un’eredità solida alle prossime generazioni di giovani. Un’eredità in cui i ragazzi si sentano più liberi di esprimere le proprie emozioni senza paura di essere derisi, siano più in grado di gestire le frustrazioni e abbiano la possibilità di accedere alla rete di professionisti in grado di aiutarli senza che questo diventi fonte di vergogna.

Un’eredità, dunque, che va necessariamente supportata e attenzionata ancor prima dagli adulti di riferimento.

Dott.ssa Gioia Picchianti

Dott.ssa Micol Lucantoni

Bibliografia

  • Treccani dizionario online;
  • Dimitri, S., Pedroni, S., Donghi, E., Attraverso la sofferenza della vittima: tra bullismo, cyberbullismo e proposte di intervento, in “Maltrattamento abuso all’infanzia” 2018-1;
  • Olweus D., Bullismo a scuola: ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti, Firenze, (1996);
  • Petrone, L., & Troiano, M. Bullismo e baby gang: strategie di prevenzione nelle scuole. Sommario, 75 (2005);

Lascia una risposta