Biblioterapia: la parola della narrazione come cura

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È quantomeno arduo stabilire un momento esatto in cui si possa inquadrare la nascita della biblioterapia. Il bisogno di individuare e analizzare una narrativa che possa suscitare emozioni, aiutare a capirsi attraverso il potente strumento della metafora e del conforto accompagna l’umanità fin dai suoi albori.

Non sarebbe un errore identificare un fil rouge capace di unire, attraverso le varie epoche, il bisogno umano di raccontarsi e riconoscersi nel racconto dell’Altro.

Rendere presenza l’assenza usando come mediatore la parola scritta, comprendere meglio il proprio vissuto attraverso la metafora delle storie, siano esse reali o di pura fantasia. Le stesse pitture rupestri, recanti scene di caccia o riti tribali, sintetizzano la visione del vissuto in modo più immediato e meno strutturato.

Prima ancora della scrittura si può rinvenire, inoltre, la narrazione orale: per millenni, gli esseri umani hanno creduto utile ascoltare storie, narrazioni, rievocazioni, analizzando la propria vita alla luce dell’altrui esperienza.

È proprio in quest’ottica che si può ricordare come la stessa lettura avveniva quasi liturgicamente e ad alta voce. Una nuova parentesi dunque, lontana di secoli dall’osservazione di Sant’Agostino, dove le neuroscienze confermano che la lettura a voce alta sia, specie nei primi anni di vita, un facilitatore della comprensione e dell’apprendimento dei testi scritti.

A mero titolo esemplificativo, gli stessi testi sacri hanno rappresentato per secoli una base educativa e sono stati anche strumento di rassicurazione e confronto con l’esistenza individuale. Innumerevoli sono le metafore presenti nelle Sacre Scritture, l’energia distruttiva narrata nella vicenda di Caino e Abele, il senso della Legge che deroga alla Legge stessa nella storia di Abramo. Allo stesso modo i Vangeli: il martirio di Gesù, la sofferenza finalistica e la logica divina sono tutti aspetti che possono lenire le grosse sofferenze riservate dalla vita, facendole rileggere in un’ottica nuova e diversa e favorendone l’accettazione nonché la possibilità di superare eventi particolarmente impattanti. Numerosi sono gli esempi che promanano dalla lettura classica, tra i quali, ad esempio:

  • il mito greco, ampiamente ripreso e studiato dagli psicologi da sempre, di cui esemplificazione è il mito di Eco e Narciso che fu ripreso da Freud per configurare il narcisismo;
  • il Simposio di Platone, il quale ha costituito l’archetipo dello schema amoroso occidentale che cela quel senso di mancanza, tormento e privazione reso da Platone in modo esemplare nella sua scrittura;

La biblioterapia viene poi introdotta nell’attività clinica e codificata solo nello scorso secolo ad opera di autori quali i fratelli Memminger e successivamente Arleen McCarty Hynes il quale contribuì alla diffusione di questa tecnica riuscendo a fare assumere, per la prima volta in una struttura sanitaria, un biblioterapista.

Come e perché la biblioterapia funziona

Uno dei capisaldi della biblioterapia è, certamente, l’uso della metafora.

All’interno della narrazione si possono rinvenire, infatti, eventi e caratteri che possono favorire l’identificazione incoraggiando la modifica di pensieri, comportamenti ed emozioni del lettore. Prendendo in prestito le parole di Kopp: “In genere la metafora viene definita come un modo di parlare in cui una cosa è espressa in termini di un’altra cosa, così che questa riunione possa gettare una nuova luce sul carattere di ciò che viene descritto”.

La lettura di un libro, accuratamente selezionato tra quelli che possano essere più rispondenti alle esigenze di un paziente, può aiutare a verbalizzare, riconoscere e rileggere in chiave metaforica i propri stati d’animo contribuendo a rendere una fotografia più precisa della situazione vissuta, a ridimensionare la portata del vissuto e, cosa non meno importante, a costituire un progetto più solido per il proprio avvenire.

Ciò avviene essenzialmente attraverso dei processi di identificazione con i protagonisti delle storie che sembrano compartecipare le vicende del lettore, per mezzo di meccanismi di proiezione su di essi e della capacità di cogliere una morale dal racconto.

Vi è poi un fortissimo valore catartico derivante dalla lettura e da ciò discende la possibilità di esperire fortissime emozioni che non richiedono l’esperienza diretta. Ed infine la possibilità di sviluppare un insight, l’arrivo cioè ad una nuova consapevolezza, a nuove soluzioni magari più produttive e risolutive.

D’importanza cruciale è, ovviamente, la corretta scelta dei testi da suggerire al lettore e, a tal fine, il biblioterapista deve godere di un’ampia e diversificata conoscenza letteraria.

I testi selezionati inoltre devono consentire l’identificazione e avere un carattere generale, essere comprensibili, incisivi, interessanti ed idonei a trasmettere al destinatario il messaggio che si vuole veicolare.

In conclusione, la biblioterapia è un valido strumento d’ausilio, capace di generare emozioni, supportare la comprensione di sé stessi e delle situazioni vissute, capace inoltre di veicolare messaggi positivi e sviluppare la possibilità di insight.

Dott. Fabio Falcone

Dott.ssa Cristina Colantuono

 

Bibliografia

Agostino, S. (2006). Le confessioni. BUR.

Aristotele. (2000). Poetica. Bompiani.

Dalla Valle, M. (2018). Biblioterapia. QuiEdit.

Disegni, D. (2020). Bibbia ebraica- Pentateuco e Haftarot. Giuntina.

Freud, S. (1976). Introduzione al narcisismo. Bollati Boringhieri.

Gordon, D. (1992). Le metafore in terapia. Astrolabio.

Kopp, B.S. (2002). Guru metafore di uno psicoterapeuta. Astrolabio.

Ugolini, G. (2012). Jacob Bernays e l’interpretazione medica della catarsi tragica. Cierre Grafica.

Sitografia

Forrin, N. D., & MacLeod, C. M. (2018). This time it’s personal: the memory benefit of hearing oneself. Memory (Hove, England), 26(4), 574–579. Consultato da https://doi.org/10.1080/09658211.2017.1383434

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