La lotta contro il doping

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Cosa intendiamo per doping?

Una delle problematiche più importanti e complesse nell’ambito del mondo dello sport è l’uso e abuso da parte degli atleti di sostanze che aumentano la loro prestazione fisica e sulle quali gli specialisti di vari settori (medici, fisiologi, biologi, psicologi, tecnici, ecc.) si impegnano per mettere a punto nuove tecniche di indagine ed eventuali modalità di prevenzione.

È una situazione preoccupante che risuona nella maggior parte delle discipline sportive, poiché l’uso di sostanze dopanti è diventato un’importante preoccupazione per la salute pubblica oltreché per i comportamenti illeciti dal punto di vista strettamente sportivo. Il doping, infatti, non ha solo conseguenze sulla salute dell’atleta, ma anche sull’immagine di tutto il mondo dello sport.

Al giorno d’oggi lo sport è diventato una fonte diretta ed indiretta di enormi guadagni, un motivo di orgoglio politico o nazionale ed il fenomeno del doping, seguendo tale ascesa, si sta diversificando e moltiplicando con sempre più sostanze efarmaci che vengono utilizzati.

Come anticipato, con il termine “doping” si definisce l’uso di sostanze che aumentano le performance dell’atleta al fine di ottenere risultati e piazzamenti nelle competizioni che normalmente non avrebbe ottenuto;  infatti, così come dichiarato già nella sua prima definizione ufficiale del 1963 pubblicata dal Consiglio del Comitato Europeo: “Il doping rappresenta l’uso di sostanze o mediatori fisiologici, che normalmente non sono presenti nel corpo umano, introdotti come aiuto esterno per aumentare le prestazioni degli atleti durante una competizione” (Padrone 2014).

Già nell’antica Grecia, l’uso di sostanze proibite era considerata una pratica comune poiché gli specialisti, medici dello sport, offrivano agli atleti elementi di vario genere al fine di aumentarne le prestazioni fisiche (Alberti 2014). Anche all’epoca nell’Impero Romano, erano i cavalli ad essere incentivati con varie miscele di sostanze volte ad aumentarne la velocità e la resistenza (infatti il fenomeno doping non riguarda solo l’uomo ma anche gli animali usati in competizioni).

Dalla seconda metà del XIX secolo, poi, questo fenomeno viene descritto negli sport moderni tanto che nel 1886 assistiamo alla prima morte conosciuta per doping del ciclista gallese Arthur Linton, deceduto dopo aver assunto una sostanza, il trimetil, per partecipare alla Parigi-Bordeaux (Lopez 2014).

Durante la maratona di Saint Louis nel 1904, invece il maratoneta Tom Hicks muore a causa dell’uso di una miscela di cognac e stricnina che aveva assunto prima della gara. Nel 1967 al Tour de France il ciclista inglese Tommy Simpson è deceduto per l’uso consistente di amfetamine e questo episodio avvenne sotto l’occhio del pubblico della televisione. Simpson ebbe un collasso cardiocircolatorio poco dopo aver completato la sua prova (Noakes 2004).

A seguito di questa tragedia il Comitato Olimpico Internazionale decise di dedicarsi con maggiore attenzione a un fenomeno così pericoloso e dilagante, istituendo i controlli antidoping e preoccupandosi di stilare un elenco di sostanze vietate agli atleti nel contesto delle competizioni sportive di qualsiasi livello e disciplina.

Il Comitato Olimpico Internazionale creò una “Commissione Medica” (CIO‐MC) per combattere l’uso improprio di droghe negli sport olimpici.

L’antidoping nello sport

La pericolosità del fenomeno ha portato alla formazione della World Anti‐Doping Agency (WADA) per volontà del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) il 10 novembre 1999 a Losanna, affinchè venisse coordinata la lotta contro il doping nello sport a tutti i livelli (Pierini, Garofani, Degli Esposti 2005).

In Italia è stata instituita l’Organizzazione Nazionale Antidoping (abbreviato NADO) riconosciuta dalla WADA per la prevenzione del doping e le violazioni sulle norme sportive antidoping, nata dall’accordo tra il Governo Italiano, il CONI ed il NAS dei Carabinieri.

Il divieto di doping va valutato prendendo in considerazione due aspetti: quello etico ovvero tutti gli atleti dovrebbero gareggiare in competizioni che premiano la capacità, la forza e l’allenamento dei partecipanti a parità di condizioni; e quello medico che evidenzia i gravi effetti avversi e, in alcuni casi, anche danni irreversibili a breve o lungo termine che l’assunzione di queste sostanze provoca.

Le sostanze dopanti possono essere acquistate nelle farmacie, nei negozi di integratori, tramite internet o, più comunemente, reperite sul mercato nero (Baraldo, Licata 2016) e tra loro troviamo:

  • agenti anabolizzanti;
  • ormoni e sostanze correlate;
  • beta-2 Agonisti;
  • agenti con attività anti-estrogenica;
  • diuretici ed altri agenti mascheranti

Le sostanze e i metodi dopanti sono inclusi nell’elenco vietato dal WADA se soddisfano due dei seguenti tre criteri:

  • prova che ha il potenziale per migliorare le prestazioni sportive;
  • l’uso della sostanza o del metodo rappresenta un rischio per la salute;
  • l’uso della sostanza o del metodo viola lo spirito dello sport.

Nella categoria sono inclusi anche altri metodi come le trasfusioni di sangue.

In Italia la Legge n.376, emanata il 14 dicembre 2000 “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”, contiene sanzioni penali collegate ad attività di consumo e di commercializzazione di sostanze dopanti (Bonini 2001). Chi pratica un’attività sportiva sia a livello agonistico può essere sottoposto a una serie di controlli per valutare la presenza nell’organismo di sostanze vietate dalla normativa antidoping e i controlli possono essere eseguiti su campioni di sangue, urine e altri materiali biologici prelevati all’atleta e analizzati in laboratori specializzati.

Questi controlli possono essere eseguiti in occasione della competizione ufficiale, durante gli allenamenti ma anche in periodi lontani dalla gara. (es. inverno per i ciclisti, estate per gli sciatori di fondo).

Le violazioni delle regole antidoping non fanno riferimento alla sola assunzione di una sostanza proibita o l’uso di un metodo proibito da parte di un atleta ma significano anche:

  • il rifiuto per il campionamento dopo aver ricevuto un invito al controllo del doping in conformità con le regole antidoping,
  • il falsificare o tentare di falsificare qualsiasi parte del controllo del doping
  • il possesso di sostanze e metodi vietati
  • il traffico o tentato traffico di qualsiasi sostanza proibita
  • il rifiuto dei controlli antidoping
  • la mancata reperibilità

Le sanzioni sportive possono riguardare:

  • la squalifica per un periodo di 2 o 4 anni,
  • il pagamento di una multa da 2.582 a 51.645
  • nei casi di recidiva si può arrivare alla squalifica a vita
  • l’annullamento dei risultati ottenuti

L’assunzione di sostanze dopanti può procurare all’atleta notevoli ripercussioni a livello psicologico, comportamentale, relazionale e motivazionale non solo quando è in un periodo di piena attività ma anche dopo il momento agonistico. Dunque la pratica all’abuso di sostanze illecite appare strettamente collegata allo sforzo della ricerca della perfezione, nel tentativo di produrre costantemente la migliore prestazione sportiva (Mendoza, 2002).

La prevenzione rappresenta una delle armi più potenti della medicina e fondamentali sono le campagne di sensibilizzazione per promuovere la salute.

Doping e psicologia

Per quanto riguarda l’impatto psicologico che l’assunzione di sostanze dopanti può avere sulla persona che le assume, va considerata innanzitutto la dose e la durata di tale comportamento:

  1. un primo gruppo fa riferimento agli effetti precoci e comprende stati di euforia ed altri cambiamenti dell’umore: aumento della fiducia in sè stessi, dell’energia, dell’autostima ed un incremento dell’entusiasmo e della motivazione. Durante questo periodo diminuisce la stanchezza, migliora la capacità di sopportazione del dolore e spesso compaiono sintomi di iperattivazione come insonnia, aumento della libido, agitazione e irritabilità.
  2. un secondo gruppo descrive gli effetti legati ad alte dosi e possono includere la perdita dell’inibizione e la mancanza di giudizio, con umore instabile e maniacale.
  3. un terzo gruppo analizza gli effetti dopo assunzioni prolungate in cui ritroviamo la tendenza della persona ad essere sospettosa, polemica, impulsiva e molto aggressiva.

Tali condotte, inoltre, possono provocare l’insorgenza di patologie psichiatriche più gravi come i disturbi dell’umore (es. la depressione maggiore, i disturbi bipolari etc.), i disturbi d’ansia (disturbo d’ansia generalizzata e disturbo di panico), le idee e i comportamenti suicidari e i sintomi paranoidei e/o deliranti caratterizzati da marcata sospettosità o idee bizzarre.

Conclusioni

A fronte di quanto esposto, dunque, ci si trova di fronte ad un fenomeno su cui la psicologia dello sport, oltre che gli organi competenti, deve investire in prevenzione e diffusione. L’atleta, soprattutto a certi livelli, può essere tentato di assumere una “sostanza scorciatoia” che gli garantisca di migliorare la propria prestazione e le probabilità di vittoria evitando il timore di competere con altri sportivi.

Per tale ragione, l’atleta sperimenterà da un lato un senso di grandiosità e soddisfazione, dall’altro sensi di colpa, paura delle penalità o degli effetti collaterali entrando in una spirale di dipendenza psicologica molto faticosa da abbandonare se non supportati adeguatamente da professionisti.

Dott.ssa Valentina Mariani

Dott.ssa Micol Lucantoni

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