Il disturbo di panico (PD) è un disturbo mentale cronico che mostra caratteristiche principali come attacchi di panico ricorrenti, persistente preoccupazione ed un cambiamento nel comportamento a seguito di questi (Davidoff et al., 2012). Può essere definito come un disturbo d’ansia altamente generalizzato che, anche in assenza di panico, risulta associato con anomalie ad ampio raggio su più livelli di funzionamento (ad es. fisiologia centrale e periferica, comportamento, cognizione, affetto) (Friedman, 2007).
Nello specifico quindi, il disturbo di panico è un disturbo d’ansia caratterizzato da attacchi di panico frequenti ed inaspettati; questi consistono in un brusco aumento dell’intensità della paura/ansia, la quale raggiunge un picco molto elevato nel corso di un breve periodo di tempo, durante il quale si possono manifestare alcuni sintomi, sia mentali che fisici. Tra questi troviamo palpitazioni, percezione accentuata del proprio battito cardiaco o tachicardia, maggiore sudorazione, tremori o agitazione, sensazione di mancanza d’aria o di soffocamento, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, sensazione di sbandamento, di instabilità, sensazione di “testa leggera” o di svenimento, confusione mentale, brividi o vampate di calore, sensazioni di intorpidimento o formicolio, sensazione di irrealtà o di essere distaccati da sè stessi, paura di perdere il controllo o di impazzire e paura di morire. Quindi, l’attacco di panico rappresenta la forma più acuta e di maggiore intensità dell’ansia e possiede le caratteristiche di una crisi che si esaurisce in circa dieci minuti (Roy-Byrne, Craske e Stein, 2006).
- I tre tipi di attacco di panico: incidenza e trattamento
Il primo tipo è improvviso, e quindi non provocato, senza motivi o cause chiare; il secondo è di tipo situazionale, e dunque provocato (nel caso di una fobia, se il soggetto si trova di fronte all’oggetto fobico può sperimentare un attacco di panico); il terzo emerge in situazioni in cui la persona risulta sensibilizzata (ad esempio, a seguito di un incidente in auto, un soggetto potrebbe avere attacchi di panico nel caso in cui ci si ritrovi alla guida) (Yong-Ku, 2019).
Attualmente, il disturbo di panico rappresenta uno dei più comuni disturbi d’ansia, con tassi di incidenza nella vita della popolazione non clinica riportati tra il 2.1-4.7% (Yong-Ku,2019).
La causa esatta del disturbo di panico rimane sconosciuta, anche se esistono diverse teorie che tengono conto di alcuni fattori in particolare; ad oggi, infatti, spesso si concorda sul fatto che il disturbo di panico sia causato da una combinazione di essi più che da uno solo.
Le principali opzioni di trattamento sono la psicoterapia ed i farmaci, e la loro combinazione è considerata la più efficace (APA, 2009): la farmacoterapia e la terapia cognitivo comportamentale, nello specifico, si sono dimostrati approcci efficaci per il disturbo di panico (Milred et al., 2007) ed entrambi hanno effetti duraturi. Solo pochi studi hanno indagato combinazioni di farmacoterapia con psicoterapia per il disturbo di panico, con risultati contrastanti. Ad ogni modo, nel corso degli ultimi anni sono stati condotti diversi studi su terapie alternative e complementari per la cura e il trattamento del disturbo di panico, tra cui è emersa la mindfulness.
- Attacchi di panico e mindfulness
Con il termine “mindfulness” si intende una pratica meditativa che consiste nel prestare attenzione in modo intenzionale, senza giudicare, allo scorrere dell’esperienza che si sviluppa nel presente. Secondo la psicologia essa rappresenta una modalità specifica di vivere l’esperienza interna ed esterna con un’attenzione consapevole, vivendo gli stati mentali come tali nella loro pienezza (Rainone, 2012).
Tale pratica implica la focalizzazione sui pensieri, sui sentimenti e le sensazioni fisiologiche attuali e allena una persona ad agire in modo cosciente piuttosto che a reagire inconsciamente.
Per comprendere pienamente l’applicazione della mindfulness agli attacchi di panico e al disturbo di panico, inoltre, è necessario tenere a mente che il centro della meditazione è rappresentato dal respiro: prestare attenzione a quest’ultimo, infatti, costituisce un ottimo modo per mantenere la mente aperta e vigile. In questo modo, la persona riesce ad allontanarsi dalle eventuali e frequenti distrazioni rappresentate da pensieri e emozioni che affollano la mente ed il respiro diventa lo strumento principale per ampliare la consapevolezza e per entrare in contatto con la realtà interiore (Hayes, Strosahl e Wilson, 1999).
Nella meditazione vengono usati diversi metodi di respirazione: alcuni si basano sull’osservazione del respiro ed altri sulla sua alterazione. Osservare il respiro, infatti, aiuta a focalizzarsi sul momento presente, a far tacere il dialogo interno, a calmare il lavorio mentale; la diversificazione del modo di respirare, invece, aiuta a modificare il modo di pensare e a rompere gli schemi mentali in base ai quali solitamente il soggetto con disturbo di panico agisce.
Seguire il ciclo dei respiri o focalizzarsi su di essi, dunque, rallenta la mente, rimettendola al passo con il corpo (Wilson, 1999).
Inoltre, chi soffre di disturbo di panico ed evita alcuni luoghi o circostanze tende a confondere il livello dei fatti con quello dei processi interni. Per esempio, la persona che ha paura di guidare la macchina sa che il problema non è la macchina in sé, ma sono i pensieri relativi all’idea di sentirsi male e di poter avere un attacco di panico mentre guida. Ciò che scatena l’attacco è, dunque, il pensiero stesso di star male in macchina e riconoscere i propri processi interni, i propri pensieri catastrofici, l’aiuterebbe a spostare la sua attenzione non più verso la macchina ma verso ciò che accade dentro di sé. L’identificazione delle proprie previsioni catastrofiche è, dunque, essenziale per superare il problema: questi pensieri rappresentano i veri timori e sono, soprattutto, totalmente falsi. È necessario che chi soffre di disturbi di panico valuti in modo diverso il proprio pensiero e non gli dia più importanza di quanta ne abbia in realtà (Hayes, 1999).
La mindfulness insegna questo: la capacità di riconoscere il momento in cui si smette di osservare i propri pensieri e, invece, si inizia a guardare il mondo attraverso di essi. In altri termini, vivere il presente senza perdersi nelle congetture che riguardano il futuro o nelle ruminazioni sul passato; riprendere profondamente il contatto con sé stessi, essere consapevoli di quello che succede esattamente nel momento in cui sta accadendo, identificare pensieri e sensazioni e dare loro il giusto valore (valore effettivo).
- L’efficacia delle terapie basate sulla mindfulness nel disturbo di panico
Levitt e Karekla (2005) hanno suggerito che l’evitamento esperienziale costituisce un fattore chiave di mantenimento nel disturbo di panico così come in altri disturbi d’ansia; nello specifico, tale tipo di evitamento è definito come la riluttanza a rimanere in contatto con esperienze specifiche ed i tentativi di alterare la forma e/o la frequenza di tali esperienze. Secondo i due studiosi, il problema è che questi tentativi di alterare le esperienze possono effettivamente esacerbare queste ultime, mantenendo in vita in questo modo il disturbo. La ricerca supporta questa affermazione, dimostrando che i tentativi di soppressione del pensiero o delle emozioni portano al loro contrario, mentre gli approcci basati sull’accettazione evidenziano risultati più positivi. Campbell-Sills, Barlow, Brown e Hofmann (2006) hanno condotto ricerche con partecipanti con diagnosi di ansia e disturbi dell’umore istruendoli ad accettare o sopprimere la risposta emotiva durante la visione di filmati sconvolgenti; quelli che si trovavano nel gruppo di soppressione hanno evidenziato una maggiore risposta simpatica ed un recupero più lento dal disagio auto riferito rispetto a quelli nel gruppo di accettazione.
Conclusioni
Pur rimanendo aperto il dibattito sui fronti concettuali, definitivi e di ricerca applicati agli interventi basati sulla mindfulness per il disturbo di panico, un corpo crescente di letteratura scientifica dimostra che il suo utilizzo nel trattamento terapeutico delle problematiche di ansia crea un cambiamento fondamentale di prospettiva del soggetto verso la propria vita interiore (Hayes, Strosahl e Wilson, 1999).
È pur vero che sono necessarie ulteriori ricerche per esaminare più a fondo gli aspetti della coscienza (tra cui consapevolezza, attenzione e intenzione) che possono essere utilizzati per autoregolare efficacemente i sistemi mente-cervello-corpo-comportamento implicati nei disturbi d’ansia e di panico.
Inoltre, ad oggi, la mindfulness è stata indagata in misura maggiore nei disturbi d’ansia invece che sul disturbo di panico; questo potrebbe essere dovuto ad una maggiore emergenza dei disturbi d’asia nel periodo attuale, ma soprattutto alla mancata diagnosi di molti casi di disturbo di panico che lasciano quindi spesso il disturbo sottostimato all’interno della pratica clinica, o più comunemente inserito nell’insieme più ampio dei disturbi d’ansia. Anche per tale motivo sarebbe opportuna una maggiore sensibilizzazione verso il disturbo di panico e verso coloro che ne soffrono, in quanto spesso queste persone si sentono abbandonate a loro stesse, senza speranze e senza un modo per affrontare ciò che vivono (Hayes, Strosahl e Wilson, 1999). La mindfulness potrebbe, dunque, rappresentare una tecnica ottimale per offrire un supporto – ed una cura – a queste persone.
Dott.ssa Micol Lucantoni
Dott. Fabio Transillo
Bibliografia
- Campbell-Sills, L., Barlow, D. H., Brown, T. A., Hofmann, S. G. (2006). Effects of suppression and acceptance on emotional responses of individuals with anxiety and mood disorders. Behavior Research and Therapy, 44, 1251-1263;
- Davidoff, J., Christensen, S., Khalili, D. N., Nguyen, J., IsHak, W. W. (2012). Quality of life in panic disorder: Looking beyond symptom remission. Quality of Life Research: An International Journal of Quality of Life Aspects of Treatment, Care & Rehabilitation; 21(6): 945–95;
- Friedman, B.H. (2007). An autonomic flexibility-neurovisceral integration model of anxiety and and cardiac vagal tone. Biological Psychology; 74: 185-199;
- Harris, R. (2009). ACT made simple. Oakland, CA: New Harbinger. Hayes, S. C., Strosahl, K. & Wilson, K. G. (1999). Acceptance and commitment therapy. New York: Guilford;
- Levitt, J. T., Karekla, M. (2005). Integrating Acceptance and Mindfulness with Cognitive Behavioral Treatment for Panic Disorder. In S. M. Orsillo & L. Roemer (Eds.), Series in anxiety and related disorders. Acceptance and mindfulness-based approaches to anxiety: Conceptualization and treatment (p. 165–188). Springer Science + Business Medi;
- Rainone, A. (2012). La mindfulness. Il non fare, l’accettare e il fare consapevole. Cognitivismo Clinico, 9(2): 135-150;
- Roy-Byrne, P.P., Craske, M.G., Stein, M.B. (2006). Panic disorder. The Lancet, 368(9540): 1023−1032;
- Yong-Ku, K. (2019). Panic Disorder: Current Research and Management Approaches. Psychiatry investigation; 16(1): 1-3.