Il perdono come autoterapia

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Un noto proverbio afferma: «Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura mai» (Antonio Malo, 2018). Il perdono è un argomento poco conosciuto e poco analizzato sia culturalmente che psicologicamente. La maggior parte delle persone, nell’arco della vita, ha pensato di avere qualcosa da perdonare a se stesso e ha certamente sentito più volte le frasi: “devi perdonarlo”, “non pensarci più, è passato”, “vai avanti, dimenticherai”, etc..

Come descritto da Antonio Malo, laureato in Filologia e Filosofìa all’Università di Navarra (Spagna), Ordinario di Antropologia Filosofica presso la Pontificia Università della Santa Croce, per perdonare bisogna capire “Chi” è il “Colpevole”, quale sia la “Colpa”, e partire prima di tutto da noi stessi. Nel suo libro Antropologia del perdono afferma “dove non c’è Perdono c’è Vendetta”.

Il perdono, dunque, non è un semplice atto verso l’altro ma un vero e proprio cambiamento che si scontra con i nostri limiti, la nostra vulnerabilità e la nostra fragilità (Antonio Malo, 2018).

Cos’è il perdono?

Il perdono ha ricevuto un’attenzione diffusa tra gli psicologi dal punto di vista sociale, della personalità, clinico, evolutivo e organizzativo. L’incapacità di fare i conti con la propria rabbia o con un conflitto spesso può portare a disturbi da stress, disturbi di salute mentale e problemi di relazione. Il perdono è una decisione personale. Il Dr. Worthington, professore del Dipartimento di Psicologia della Virginia Commonwealth University, leader nel campo della ricerca, dell’insegnamento, dell’editoria e della divulgazione sul perdono, ha creato un approccio basato sull’evidenza che è applicabile per gli individui, per le relazioni e per la società, descrivendo un metodo di riconciliazione basato sull’evidenza. Egli mirava, infatti, a ripristinare la fiducia nelle relazioni danneggiate. Inoltre, dimostrando che il perdono trasforma la personalità, Worthington descrive i modi in cui un medico può promuovere (ma non forzare) il perdono degli altri e di sé. Fornisce teoria e applicazioni basate sulla ricerca e discute il ruolo delle emozioni e dei tratti specifici della personalità in relazione al perdono. Il perdono e la riconciliazione potrebbero non essere cure, ma, come mostra Worthington, strumenti per trasformare sia il sé che il mondo. Robert Enright, invece, psicologo all’università del Wisconsin-Medison, individuò quattro fasi del perdono: la consapevolezza, la decisione, la comprensione e compassione, e l’approfondimento. Chi è riuscito a perdonare si rende conto, in quest’ultima fase, che le emozioni spiacevoli diminuiscono e inizia a provare emozioni positive verso chi l’ha ferito.

Così come evidenziato dagli Autori, dunque, perdonare è un percorso terapeutico verso noi stessi; non è facile, ma la capacità di perdonare e superare i conflitti per preservare le relazioni importanti sembra essere funzionale e adattiva alla sopravvivenza degli individui e del sistema sociale.

Le persone capaci di auto-perdonarsi, inoltre, si sentono libere dai sentimenti negativi, sensi di colpa e pensieri ossessivi; beneficiano di una maggiore pace interiore e la loro autostima migliora; riescono ad accettare il proprio passato, sono pronte per un nuovo inizio e per attuare un cambiamento del proprio modo di essere (Cfr: ibidem 91., Il perdono e il suo valore educativo). Le persone che perdonano differiscono dalle persone meno indulgenti per diversi attributi della personalità: riportano effetti meno negativi come ansia, depressione e ostilità (Mauger, Saxon, Hamill e Pannell, 1996), sono meno meditative (Metts & Cupach, 1998), meno narcisistiche (Davidson, 1993), meno sfruttatrici e più empatiche (Tangney et al., 1999). Chi perdona tende anche a sostenere atteggiamenti e comportamenti socialmente desiderabili (Mauger et al., 1992). La persona che perdona sembra essere una persona relativamente alta in gradevolezza e relativamente bassa in nevrosi/emotività negativa.

Come afferma il Dalai Lama (Dalai Lama XIV, 2005) però, perdonare sé stessi non vuol dire ignorare l’accaduto, ma, piuttosto, confrontarsi con esso riconciliandosi con la propria storia personale.

Nel 1998 la John Templeton Foundation e altre fondazioni filantropiche, infatti, hanno iniziato una campagna per fornire 10 milioni di dollari in finanziamenti per la ricerca scientifica sul perdono (Holden, 1999), con l’interesse nazionale per l’argomento, un forte sostegno finanziario e decine di gruppi di ricerca (McCullough, 2001).

 Un esempio di storia italiana

«Una volta fatto, il male non rimane fermo. Lavora, lavora… va avanti e colpisce altre persone. Tu stai nella tua goccia d’ambra e finché sei là dentro quel male non potrà essere fermato» (Agnese Moro).

 Ad Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, politico, accademico e giurista italiano, ucciso dalle brigate rosse, era cresciuta dentro «l’idea di un male onnipotente, che se la ride di te e dei tuoi sforzi ma a 31 anni dopo la morte del padre, la vigilia di Natale del 2009, ha cominciato a pensare di dire basta, di scegliere la vita e decidere che quel male non doveva essere alimentato più».

Dopo diversi anni, Agnese incontra Adriana Faranda, allora “postina” delle Br, tra i responsabili del sequestro del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro del 16 marzo 1978 in cui persero la vita anche i cinque uomini della scorta. Arrestata nel 1979, dissociata dalle Brigate Rosse negli anni Ottanta e goduto delle progressive riduzioni di pena, nel 1994 Adriana Faranda esce dal carcere e, dopo diversi anni, incontra Agnese Moro per mettere un punto a tutto quell’orrore.

 «Il perdono non è un sentimento ma una decisione che devi prendere per fermare il male. Perdonare è una scelta per stare bene, per riprenderti la tua vita» (Agnese Moro, 2019).

Al centro dell’incontro tra Agnese Moro e Adriana Faranda c’è la “ricomposizione” di una frattura, c’è un dialogo, nella certezza che il fare giustizia non possa risolversi solamente nell’applicazione di una pena.

Per Agnese Moro ora il passato è finalmente passato.

Conclusioni

Il perdono libera l’anima, rimuove la paura. È per questo che il perdono è un’arma potente – Nelson Mandela.

Gli autori sembrano concordare sul fatto che perdonare l’altro, e se stessi, possa essere considerato come uno spostamento da una considerazione di sé come totalmente indegno o ingiusto, cioè responsabile in assoluto, ad una visione di sé come essere umano fallibile, ma al contempo portatore di dignità e valore personale. (Holmgren,1998; Mc Cullough, Pargament, Thoresen, 2000; Hall, Finchaam 2005; Wohl, De Shea Wahkinney, 2008). L’analisi storico-linguistica, infatti, ci ha permesso di evidenziare la derivazione del vocabolo “perdono” dal termine “dono” sia etimologicamente che semanticamente. Il perdono appare cosi come una perfezione del dono, come un dono cioè che, oltre a potersi ripetere, genera altri doni, soprattutto quello della rigenerazione del colpevole.

Dott.ssa Imma Ruocchio, Dott.ssa Micol Lucantoni

BIBLIOGRAFIA

  • Fehr, R., Gelfand, M. J., & Nag, M. (2010). The road to forgiveness: A meta-analytic synthesis of its situational and dispositional correlates. Psychological Bulletin, 136, 894 –914. doi:10.1037/a0019993
  • Worthington, E. L., Jr. (2006). Forgiveness and reconciliation: Theory and application. New York, NY: Brunner-Routledge.
  • McCullough M.E & Witvliet C., The Psychology of Forgiveness.Antonio Malo, Antropologia del perdono.
  • Dalai Lama XIV (2005), Victor Chan The Wisdom Of Forgiveness: Intimate Conversations and Journeys.
  • monicatriglia.it/agnese-moro-adriana-faranda/
  • ilgiorno.it/bergamo/cronaca/adriana-faranda-aldo-moro-
  • monicatriglia.it/agnese-moro-adriana-faranda/

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