La psicoterapia risente ancora oggi di innumerevoli pregiudizi. Andare infatti dallo psicologo, nonostante la grande richiesta che si registra, rappresenta ancora per molti fonte di imbarazzo e disagio, soprattutto quando ci si confronta con gli altri.
Lo stereotipo dello “strizza cervelli”, manipolatore delle menti, mago e stregone capace di intrufolarsi nei pensieri più profondi, è ancora molto presente anche perchè alimentato dall’immagine spesso scorretta che la filmografia mondiale offre dello psicologo seduto sulla sua poltrona, attento alle libere associazioni del cliente, in attesa del suo compenso ma allo stesso tempo coinvolto in situazioni paradossali al limite della corretta etica e deontologia.
Ma cosa vuole dire davvero andare in psicoterapia?
Al primo posto la relazione
La psicologia clinica fonda i suoi interventi sul concetto di relazione. E’ vero infatti che quello che viene a crearsi fra utente e terapeuta, non è tanto un supporto esclusivamente tecnico, “asettico” e neutrale (completamente diverso da un sostegno medico, teso ad alleviare ed eliminare sintomi di natura puramente organica) ma realmente ancorato alle due personalità che si incontrano, si confrontano, condividendo stati emotivi profondi, esperienze di vita, sofferenze. La relazione terapeutica non può prescindere dall’incontro a due.
Psicoterapia = cambiamento
L’obiettivo principe è l’instaurarsi di una relazione reciproca di fiducia, in cui l’utente possa elaborare e ricodificare i suoi vissuti, conferendogli nuovo significato, facendo esperienza di una relazione non giudicante, in cui vi è comprensione e accettazione.
Attraverso l’incontro terapeutico vi è la possibilità di fare esperienza di una relazione tesa a modificare l’intero sistema di relazioni in cui il soggetto vive. Per cui i sentimenti frustranti, le emozioni negative, il disagio, la paura trovano all’interno del contesto terapeutico possibilità di espressione, nonché possibilità di rottura con gli schemi – inevitabilmente – di sofferenza, e la relativa modifica, più funzionale, più adattiva.
Lo studio dello psicologo
Lo studio dello psicologo rappresenta il setting, la cornice spaziale e temporale all’interno della quale l’incontro prende vita. E’ lo spazio che delimita il fuori dal dentro, spazio protetto, sicuro, regolato. E’ un contenitore relazionale e mentale all’interno del quale è possibile tirar fuori, cogliere e ri-sistemare le proprie sofferenze ed esperienze di vita.
Lo sguardo attento, comprensivo, empatico e non giudicante del terapeuta e la fiducia fra i due, consentono l’emergere dei ricordi, delle fantasie e lo schiudersi delle parti più profonde, così, all’interno dello studio trova spazio il passato, rivisto però alla luce del presente, al quale è possibile dare una spiegazione ed un significato, trovare un collegamento. Quello che è successo “là e allora”, trova spazio nel “qui ed ora” della relazione terapeutica.
Dal terapeuta come “specchio”, al terapeuta come persona
Le iniziali concezioni sul rapporto fra paziente e terapeuta erano connotate da una relazione asimmetrica, in cui lo psicologo doveva mantenere un atteggiamento neutrale, distaccato e come fosse uno specchio, riflettere l’immagine del paziente. L’analista, così come Freud indicava, non poteva condividere con il paziente informazioni sul proprio vissuto e sulla propria persona. Vi era l’idea che solamente il distacco totale potesse permettere all’analista di interpretare e cogliere correttamente le narrazioni del paziente, restituendogliele come proprie. Tali narrazioni venivano interpretate come il riemergere delle esperienze relazionali passate.
Negli ultimi decenni però gli studi sulla relazione terapeutica hanno messo in evidenza che tale incontro non funziona in modo così “asettico” ma piuttosto come campo bi-personale, intendendo con tale termine il coinvolgimento totale di entrambi gli attori.
Terapeuta e paziente infatti si influenzano reciprocamente e il dialogo che si realizza segue un andamento a “spirale”, nel quale le comunicazioni del terapeuta generano una risposta nel paziente e la risposta del paziente produce a sua volta una certa risposta nel terapeuta. I due, presenti alla relazione si regolano rispettivamente.
Conclusioni
Nonostante continuino ad esserci forti pregiudizi sulla psicoterapia, essa può realmente rappresentare un’esperienza trasformativa. Alle strategie e alle tecniche psicoterapeutiche, apprese durante la formazione, si affiancano inevitabilmente altri elementi altrettanto essenziali nei meccanismi terapeutici: la personalità del paziente e del terapeuta. Caratteristiche che la differenziano profondamente da qualsiasi altra relazione con un amico, un parente o un medico.
Possiamo quindi considerare la psicoterapia come un incontro, un incontro a due con al centro il paziente che ne fa domanda e a fianco a lui, ad accompagnarlo, il terapeuta.
All’interno di questa relazione a cui danno vita si realizza la possibilità di cambiamento, di benessere e realizzazione personale.
Dr. Cristina Colantuono
Dr. Alessandro Cini
Bibliografia
Grasso B., Cordella A., Pennella R., Metodologia dell’intervento in psicologia clinica, Carocci, Roma, 2015.
Cordella B., Pennella A.R., Costruire l’intervento in psicologia clinica. Riflessioni teoriche ed esperienze cliniche, Kappa, Roma, 2007.