11 febbraio – GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

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L’11 febbraio, ricorre la giornata mondiale del Malato, istituita da Papa Giovanni Paolo II nel 1992 in memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes.

Vista l’attuale situazione pandemica che da ormai due anno affligge l’intera popolazione mondiale, assume un significato ancora più profondo e sentito. L’attenzione oltre che al singolo malato, ricade dunque inevitabilmente anche su persone care e familiari che assistono chi, in prima linea, combatte la malattia.

La condizione di malato non è più riferibile quindi al singolo individuo colpito dal male ma allarga la propria riferibilità ad un vissuto che diviene famiglia, cerchia di amici e comunità. Il concetto di “malattia” che si contrappone a quello di “salute”, definito come uno stato di completo benessere psichico, sociale e fisico dell’uomo, decreta allora l’inevitabile bisogno di dare senso alla nuova condizione che rende diverso l’essere umano rispetto al normale, al “funzionante”.

L’esperienza della malattia fa sentire vulnerabili e al contempo bisognosi dell’altro. Quando si è  malati, paura, incertezza e terrore diventano compagni di una quotidianità ormai controproducente, “ci troviamo in una situazione di impotenza, perché la nostra salute non dipende dalle nostre capacità o dal nostro affannarci” (cfr Mt 6,27).

Si perde la capacità di difendersi, di proiettare le proprie forze e su se stessi. L’altro diviene unica speranza e nell’altro, oltre la fiducia, si proietta tutta l’angoscia e la paura.

La famiglia come fulcro

I familiari e le persone care non sempre riescono a gestire tale carico divenendo a loro volta meccanismo della condizione di sofferenza e angoscia. Ecco allora che la struttura sanitaria diviene prerogativa fondamentale nella gestione della malattia, spesso limitata esclusivamente alla ospedalizzazione del paziente e all’assistenza clinica dello stesso, senza possibilità alcuna di supportare a più ampio spettro ciò che la malattia genera nel malato e nel sistema al quale appartiene.

L’attuale pandemia ha fatto emergere tante inadeguatezze dei sistemi sanitari e di rimando tutte le carenze nell’assistenza alle persone malate.” (Papa Francesco)

L’assistenza al malato non è una garanzia per tutti. La patologia diviene garante tra l’essere assistito o rinviato, o come anche il luogo in cui si vive la sofferenza passivamente o si lotta contro di essa ma anche dove l’età o il proprio status sociale divengono determinanti.

La malattia diventa l’ennesimo contesto in cui l’uomo finisce per essere giudicabile, l’ennesimo certificato di validità e riconoscimento.

Qualche proposta

L’intervento clinico deve rivedere il proprio approccio rispetto all’asettico protocollo clinico e farmacologico, è necessario che si rivesta di una nuova e più umana comprensione e accettazione del vissuto del paziente e quindi che esca dal concetto di malattia per proiettarsi verso quello di benessere.

La salute come bene comune deve essere l’obiettivo al quale riferirsi per una nuova costruzione sanitaria e di supporto del malato.

Un approccio clinico che sappia offrire da una parte il valore della scienza e della conoscenza e dall’altro quello del benessere psichico.

E’ importante mettere al cento la dignità del malato, dell’essere umano. Creare rapporti di fiducia, disponibilità, empatia tra paziente ed operatore sanitario estendendo tutto ciò anche al caregiver, figura che si prende cura del malato.

Il malato non deve considerarsi solo come colui che all’interno della comunità perde la capacità funzionale o relazionale ma come elemento di validità del sistema stesso. La malattia, sia essa fisica o psicologica, non può essere solo categorizzata e affrontata ma integrata nel continuum della stessa esistenza e prima ancora che affrontata e riconosciuta, deve essere accettata.

Lo psicologo al servizio del malato

La figura professionale dello psicologo diviene quindi determinante a più livelli. Lo psicologo motiva il paziente oltre che aiutarlo a superare eventuali blocchi emotivi, paure e ansie.

Una figura cardine non solo per il paziente ma anche per gli stessi operatori sanitari soprattutto considerati gli altissimi tassi di burn-out a causa della pandemia.

Diviene infine fondamentale nel processo sistemico-relazionale anche per tutti coloro che si sentono vicini al malato, dai familiari agli amici. La nuova visione del concetto di malato dovrà quindi fondersi tra più dimensioni: quella clinica, psicologica e culturale. Il processo è iniziato, l’obiettivo individuato, ora è la politica che deve offrire risposte concrete verso la realizzazione e la programmazione di un rinnovato sistema sanitario.

E’ importante sensibilizzare quanto più possibile sull’argomento.

Dr. Alberta Soave

Dr. Cristina Colantuono

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